Loris Nannini in URSS

 

Da “Prigioniero in U.R.S.S.”

Nannini ed., Pistoia, 1993

Pagine 179-195

di Loris Nannini

 

VOCE DALL’ITALIA

Miscia era una guardia russa che il comandante del campo aveva messo al nostro seguito; più che controllarci, Miscia assecondava le nostre piccole necessità.

Era un uomo anziano, guardiano ed inserviente al tempo stesso, d’indole mite e di corporatura un po’ abbondante.

Non s’intendeva affatto di radio ma era molto orgoglioso di essere in qualche modo partecipe di questa strana diavoleria tecnologica.

Era nel tardo pomeriggio, alle 17, che venivano in sala radio i pirivòtcik, cioè i prigionieri che fungevano da interpreti, per ascoltare le trasmissioni di Radio Mosca.

Per gli italiani veniva il tenente Enrico Giuliano della Divisione Pasubio.

In piedi, i pirivòtcik, ascoltavano il bollettino di guerra sovietico, letto da una voce virile e marziale.

L’internazionale socialista apriva le trasmissioni, cui seguivano i prikàs, ovvero le notizie dal fronte diramate dal Comando Supremo delle Forze Armate.

Notizie di vittorie, bollettini dell’avanzata dell’eroica Armata Rossa.

“Viva l’invincibile Armata Rossa! Viva il popolo russo! Viva il Partito Comunista! Viva il grande condottiero, il salvatore della patria, il vincitore: Stalin!”

Gli entusiastici slogan poi si temperavano nelle eroiche note dell’Internazionale, coralmente cantata, e nelle canzoni della Rivoluzione.

Era allora che accendevamo l’amplificatore; a poco a poco le valvole termoioniche si illuminavano ed un caratteristico scricchiolio si diffondeva dagli altoparlanti disseminati nei corpus.

Ad uno ad uno i quattro pirivòtcik (un italiano, un romeno, un ungherese ed un tedesco), che avevano preso nota delle vittorie sovietiche, si ponevano davanti al microfono per diramare le notizie a tutti i prigionieri nella loro lingua.

Il maggiore Mojorov, o sui 35 anni, di statura media, atletico e con un portamento in qualche modo di sussiego, era nella polizia segreta, l’NKVD, ed aveva il compito di mantenere la disciplina nel campo.

Parlava abbastanza bene l’italiano.

Una sera, mentre i pirivòtcik stavano traducendo le notizie della radio sovietica, Majorov apparve improvvisamente sulla porta della “sala radio”.

Senza proferire parola si mise ad ascoltare la traduzione che veniva trasmessa ai prigionieri.

Lasciò che i pirivòtcik terminassero la diffusione delle notizie.

Poi, alla presenza di questi, si rivolse verso di me parlando in italiano. Con lo sguardo ed un tono di voce che non lasciava dubbi interpretativi apostrofò me e Colangelo: “Siete autorizzati ad ascoltare soltanto ed esclusivamente Radio Mosca! Se vi sintonizzate su altre stazioni sarete processati come sabotatori e condannati a dieci anni di carcere duro!”.

Le sue parole non attendevano alcuna risposta. Dopo aver frugato con gli occhi tutto attorno, sigillò la sua affermazione puntando il dito della mano verso di noi; quindi se ne andò.

A buon intenditor poche parole!

Incrociai lo sguardo con quello di Colangelo. Era proprio un guaio.

E sì, perché stavamo proprio considerando il modo per poter captare le emittenti italiane.

Sembrava proprio che quel maggiore dell’NKVD lo avesse intuito.

Ma, a quel punto, avevamo già deciso e, con o senza quel Majorov, il progetto doveva andare avanti.

Dopo aver indugiato per quasi una settimana e vagliato le diverse opportunità del caso, con Colangelo escogitai un piano tecnico e di comportamento.

Recuperammo da altri apparati radio le parti necessarie all’assemblaggio di un filtro d’onda che poi inserimmo sull’ingresso d’antenna. Riuscimmo così a migliorare la selettività generale del ricevitore superando non poche difficoltà tecniche per l’occultamento dello stesso ai russi.

Durante le prove di sintonia, tra fischiettamenti e fruscii, udimmo, sfuggente, una stazione in lingua italiana.

Attendemmo la notte per riprovare l’ascolto di quella emittente; è infatti durante le ore notturne che le ricezioni sono più favorevoli e con minori disturbi.

Lavorammo, la sera, dopo che i pirivòtcik avevano terminato il loro compito, restando ancora nella “sala radio” con la scusa di provvedere a necessarie manutenzioni ed al caricamento degli accumulatori dell’amplificatore.

Arrivò il momento del collaudo.

Pur avendo preso ogni possibile precauzione e avendo operato nella massima segretezza, la prova si svolse in un clima di timore.

Era ormai sera tardi; mentre uno di noi, con la cuffia sugli orecchi, cercava di sincronizzarsi sull’Italia l’altro controllava l’eventuale movimento delle guardie.

Provammo a turno, più volte.

Presi il posto di Colangelo, mi infilai la cuffia, provai per l’ennesima volta.

Tra disturbi di interferenza e affievolimenti, improvvisamente, in italiano, udii un’ordine di partenza.

Ebbi un tonfo al cuore.

Era il via di una gara di nuoto. Era l’Italia!

Stavano trasmettendo dalla piscina Cozzi di Milano.

Solo in quel momento vidi Colangelo accanto a me che aveva compreso e mi chiedeva sottovoce qualcosa.

Annuii gioioso “È l’Italia! È l’Italia!” dissi.

Ci dimenticammo per qualche minuto della nostra sicurezza. Seduti uno vicino all’altro, abbracciati, piangevamo dalla contentezza mentre udivamo dalla cuffia il susseguirsi dei tuffi nell’acqua.

Il gioco era fatto!

Si trattava di perfezionare il circuito e, per ragioni di prudenza, trovare il modo di poter escludere il suo funzionamento.

Ciò doveva essere fatto in maniera semplice e rapida; predisponemmo così uno spinotto.

Questo spinotto era la chiave di volta di tutto il sistema; piccolo, immediatamente estraibile e ben occultabile.

Ora non restava altro che ascoltare dall’Italia il notiziario di mezzanotte, ovvero delle ore due, secondo il fuso orario di Suzdal.

 

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