Loris Nannini in URSS

 

Da “Prigioniero in U.R.S.S.”

Nannini ed., Pistoia, 1993

Pagine 179-195

di Loris Nannini

 

POPOV

Era trascorso ormai un anno quando, nel marzo 1945, i russi diedero il via ad alcune migliorie.

In una baracca nei pressi dell’ingresso venne installato un gruppo elettrogeno tedesco; furono stesi i cavi elettrici e fu data luce ad alcuni edifici.

Con l’occasione si fecero più frequenti gli incontri di propaganda politica che i russi, tramite alcuni fuoriusciti italiani, tenevano in una grande sala al primo piano del secondo edificio posto all’ingresso del campo.

Quella sala fu, un po’ sarcasticamente, chiamata “il club”.

Un pomeriggio vi fu un incontro di tipo “scientifico”.

Vi partecipò uno studioso dell’Accademia delle Scienze venuto da Mosca.

L’argomento verteva sul progresso della tecnica e del contributo che alla conoscenza veniva apportato dagli scienziati russi.

Quel giorno la riunione non era di quelle a cui dovevamo assistere obbligatoriamente.

Incuriosito dall’argomento vi andai assieme ad un mio compagno di camera, il sottotenente Leonardo Colangelo del Corpo d’Armata Alpino.

Sedemmo nella seconda fila di panche, proprio di fronte al palcoscenico aggraziato da ampi panneggi rossi.

Quattro grandi finestre a tutto sesto, due per lato, illuminavano quel grande salone.

Alcune lampadine elettriche pendevano da lunghi cavi ancorati alle travi del soffitto.

Dietro il tavolo, sul palcoscenico, si stagliavano in grandi quadri, gli onnipresenti ritratti: quello di Stalin al centro con ai lati Molotov e Lenin.

Sopra tutto, una grande falce e martello con la stella rossa.

Salì le scalette del proscenio l’ufficiale comandante del campo che fece accomodare al tavolo l’insigne ospite.

Con un particolare rispetto e con malcelata fierezza, l’ufficiale presentò, tra gli altri, “l’illustre compagno” venuto da Mosca per un giro di conferenze.

Dopo gli applausi di rito, questi, un uomo di bassa statura, sulla quarantina, con una leggera pinguedine, iniziò la sua esposizione, assistito da un’interprete.

Portava un vestito di foggia militare; mentre parlava, da dietro gli occhiali da intellettuale, cercava con gli occhi i consensi del pubblico alle sue parole.

“Il partito incoraggia la ricerca e molti sono oggi gli uomini che hanno dato all’umanità i doni della conoscenza” diceva, ravviando di quando in quando con la mano i capelli scaruffati.

“E il nostro secolo” disse il compagno scienziato con fierezza “deve molto ad un altro nostro studioso: il compagno Popov. È a lui che si deve la scoperta della radio!”

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Mi girai di scatto verso Colangelo. Anche lui non riuscì a trattenere una risata per quell’improvvisa rivelazione.

“Marconi! È Marconi, un italiano, che ha scoperto la radio” disse una voce dal pubblico.

Il compagno scienziato si zittì di colpo, corrucciando il volto.

“Silenzio! Silenzio!” urlò l’ufficiale russo, alzandosi da dietro il tavolo.

Il compagno scienziato, ripresosi dalla sorpresa “È una menzogna dei capitalisti. È Popov che ha scoperto la radio. Marconi non è che un impostore.”

Poi, frugando tra delle sue carte, tirò fuori un giornale.

“Lo conoscete questo! Siete italiani, no? Questo è L’ALBA, il giornale che scrivono gli italiani qua in Russia.

Scuotendo quella martoriata pagina di giornale “È un giornale vostro. È diretto da Paolo Robotti!”

(costui era un fuoriuscito italiano, cognato di Togliatti).

Puntando il dito su quel quotidiano, rosso in volto, “Lo ammettono anche i vostri giornalisti!” affermò il compagno scienziato “È Popov che ha scoperto la radio. Non quel millantatore di Marconi!”.

Ci dovemmo rassegnare, per il bene di tutti, alla verità di quel giornale.

Quando uscimmo dalla sala, un paio d’ore più tardi, qualcuno disse: “Va be’. Vorrà dire che anziché un Marconigramma andrò a fare un Popovgramma a casa!”

Qualche tempo dopo, forse a causa di quell’incontro scientifico, i russi fecero circolare nel campo un opuscoletto.

Su questo veniva spiegata l’invenzione della radio da parte di Popov; in una nota si accusava l’italiano Marconi di aver sottratto il brevetto ai russi ed aver costruito la radio del Vaticano, guadagnandosi per questo la nomina a Cardinale da parte del Papa.

Popov era ritenuto, nella letteratura scolastica russa del tempo, una specie di Leonardo da Vinci redivivo.

A lui erano attribuite l’invenzione della lampadina elettrica, del telefono, del telegrafo, del grammofono ed anche dell’aeroplano.

 

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