Loris Nannini in URSS

 

Da “Prigioniero in U.R.S.S.”

Nannini ed., Pistoia, 1993

Pagine 179-195

di Loris Nannini

 

LA RADIO

Qualche giorno dopo quella conferenza in cui fummo illuminati circa il vero inventore della radio, i russi chiesero se, tra gli ufficiali, vi fosse qualcuno con conoscenze di radiotecnica.

Alcuni nostri compagni indicarono ai russi il nominativo mio e quello di Colangelo, poiché, a seguito della famosa conferenza, avemmo a riprendere in pubblico l’argomento delle radiocomunicazioni soffermandoci su alcuni principi di elettronica.

Così fui convocato con Colangelo nell’ufficio del comandante del lagher 160.

Dopo aver puntualizzato che il nostro lavoro doveva restare limitato al solo settore tecnico e non costituire collaborazione politica, accettammo l’incarico di istituire una piccola stazione radio di ascolto con annesso impianto di diffusione con altoparlanti all’interno del campo.

Ci venne subito assegnata una stanza al piano terra del nostro stesso corpus ubicato sulla destra dell’ingresso del campo.

Era una stanza di circa 10 metri quadrati, cui si accedeva dal cortile del fabbricato attraverso uno stretto corridoio interno.

Più tardi, nel pomeriggio, insieme ad un ufficiale russo, fui condotto con Colangelo all’interno di una delle due chiese, quella grande al centro del campo, trasformata in magazzino.

L’ufficiale russo ci disse di aver avuto l’ordine di metterci a disposizione i materiali sequestrati ai nemici nelle operazioni di guerra; erano materiali gelosamente custoditi sotto chiave.

Sui lati della navata centrale, ammassati alla rinfusa ed in grandissima copia, vi era il “bottino di guerra” dei russi.

L’ufficiale che ci accompagnava ci informò che ciò che vedevamo proveniva tutto dal territorio tedesco.

Masse di cavo elettrico a treccia da interni strappato dal muro assieme agli isolatori con ancora i chiodi arrugginiti, tubi di ferro e di piombo, pentole, lavelli, ferri da stiro, parti di macchine agricole ed una enorme quantità di materiali inservibili.

Dopo aver spostato una buona quantità di quei materiali, vennero alla luce dei radioricevitori ed altre apparecchiature elettroniche ed elettriche.

Trovammo anche due radio Telefunken dello stesso tipo, di cui una all’apparenza in buone condizioni.

Le prendemmo entrambe per recuperare quelle parti necessarie a fare un’unica radio funzionante.

Ci mettemmo subito al lavoro.

Fissammo ad un tavolo, a metà della sua larghezza, un pannello di legno in posizione verticale.

Su questo praticammo una apertura in maniera da inserirvi il frontale di una delle due radio recuperate.

Sul retro del pannello restava così posizionata la radio con il relativo cavo di alimentazione, quello di messa a terra, dell’antenna ed un amplificatore recuperato al magazzino.

L’amplificatore fu poi collegato ad una serie di altoparlanti che, nei giorni seguenti, andammo ad installare all’interno dei corpus dei prigionieri.

Lo spazio anteriore del tavolo fu invece occupato dal microfono ed utilizzato a mò di scrittoio dagli interpreti, i pirivòtcik, i quali, ogni sera, venivano ad ascoltare le trasmissioni di Radio Mosca, a tradurle ed a ritrasmetterle agli altoparlanti.

Attivammo anche un circuito per poter ascoltare in cuffia le trasmissioni, con la possibilità di escludere l’altoparlante.

Le prime prove di ascolto risultarono non molto buone a causa della cattiva posizione dell’antenna; questa doveva necessariamente essere posta sul tetto dell’edificio, opportunamente direzionata e ben isolata.

Così, un pomeriggio, mentre il sottotenente Colangelo restava nella “sala radio” per la messa a punto dell’apparecchio, salii sul tetto per sistemarvi l’antenna; improvvisamente si scatenò una bufera di vento gelido.

Del tutto impreparato all’evento, coperto in maniera inadeguata, quella stessa sera fui colpito da forti brividi, tosse e febbre. La febbre salì molto e per giorni respirai a fatica; forse ebbi la polmonite.

Colangelo mi veniva a portare il cibo; mi informava dei progressi “tecnici” e ci scambiavamo qualche idea, facendo il punto sui lavori in corso.

Non ero ancora sfebbrato che ripresi il lavoro.

La radio ormai funzionava in maniera soddisfacente.

La ricezione di Radio Mosca era buona e discrete erano anche alcune emittenti europee; nel silenzio, purtroppo, rimanevano le trasmissioni dall’Italia.

Non restava che mettere a punto l’amplificatore con il quale diffondere nei vari corpus le notizie tradotte dai pirivòtcik.

Poichè l’alimentazione dell’amplificatore era prevista direttamente a corrente continua, utilizzammo accumulatori elettrici. La carica degli stessi fu affidata ad un trasformatore ed a quattro rettificatori metallici che assemblammo su di un pannello a parete.

Dopo un mese di lavoro avevamo finito l’impianto, con grande soddisfazione dei russi.

La sala radio era ormai pronta; il tavolo con la radio, l’amplificatore con il microfono, il raddrizzatore di corrente, gli accumulatori, due sedie ed una piccola stufa a legna.

 

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