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I ricevitori radio costruiti nei campi di prigionia

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Ricostruzione di Ignazio Secci - Prefazione

 

FACCIAMO RIVIVERE CATERINA LA RADIO DELLA SPERANZA
Realizzazione di replica funzionante della famosa radio del Lager degli
Internati Militari Italiani di Sandbostel in Germania nell'anno 1944.
di Ignazio Secci IS0EMK
RadioRivista, RadioRivista, Giugno 2007 e Agosto 2007.

 

1 - PREFAZIONE

Stimolato dall'articolo pubblicato alle pagine 119 e 120 del numero di giugno 2006 di RadioRivista (organo ufficiale dell'ARI), dal titolo "Ancora Caterina" e redatto dagli amici Radioamatori della Sezione di Carpi, sono andato a ricercare nella mia biblioteca personale di stazione il n. 2/91 di RadioRivista, su cui a pagina 91, ho potuto rileggere l'articolo di Giuseppe Borghini IW5CID, "Caterina, la radio della speranza", che ci riportava all'anno 1944, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, ed in particolare a ciò che riuscì a fare un gruppo di ufficiali italiani internati nel campo di prigionia tedesco di Sandbostel, vicino a Brema, che ha del leggendario!
Essi, partendo da una valvola 1Q5, furtivamente introdotta nel campo celata nel fondo della borraccia per l'acqua dal tenente Martignago, riuscirono - ingegnosamente - ma sicuramente grazie ad una indiscussa preparazione nel campo della radio e da veri Radioamatori, a costruirvi intorno un vero e proprio ricevitore di ottime prestazioni che, fatto funzionare nottetempo, raccoglieva e divulgava notizie sullo stato del conflitto e l'approssimarsi dell'agognata liberazione.

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Uno dei primi prototipi costruiti da Ignazio

Uno dei primi prototipi costruiti da Ignazio,
ancora con componenti commerciali.

Da vecchio autocostruttore qual sono e memore delle sperimentazioni fatte in gioventù con le valvole, cucinate in tutti i circuiti (amplificazione diretta, reazione, superreazione, reflex, supereterodina, conversione diretta, ecc.) sono rimasto colpito da ciò che quegli uomini riuscirono a realizzare con materiali di fortuna, sorgendomi il desiderio di cimentarmi nella ricostruzione di una replica funzionante, per il momento limitata al solo circuito ricevente, cioè senza auricolare ed alimentazione.

Purtroppo le notizie disponibili per poter approfondire lo studio della "radio del lager" erano poche e, in alcuni punti, contraddittorie. Così anche le fotografie, assai rare, che la ritraevano esposta nel Museo dell'Internato Ignoto di Terranegra di Padova. In pratica, non la si poteva toccare per poterne ben valutare la tecnica costruttiva, essendo ciò assolutamente impedito dalla protezione di una spessa teca in vetro.

Ho iniziato, a tal fine, a raccogliere materiale bibliografico sull'argomento. Soprattutto dai siti Internet segnalati dagli amici di Carpi, che ne avevano impiantato uno appositamente dedicato alle radio costruite nei campi di prigionia (www.radio-caterina.org), tra le quali Radio Caterina primeggia per la grande quantità di documentazione, grazie anche al fatto che nel Lager di Sandbostel furono internati uomini di cultura, non solo letteraria come Giovannino Guareschi e il poeta (e critico teatrale) Roberto Rebora, ma anche in ambiti filosofico, tecnico/scientifico e artistico (come l'attore Gianrico Tedeschi). Ma le informazioni puramente tecniche scarseggiavano. Infatti, le sole indicazioni disponibili all'inizio erano: che la radio era un semplice ricevitore a reazione ad una valvola per Onde Medie, il circuito di sintonia era del tipo a "variometro", l'ascolto in auricolare, l'alimentazione a pile costruite con quello che passava il campo!.

Noi sardi siamo notoriamente testardi, però giuro che mi sono dovuto veramente ingegnare per arrivare allo scopo che mi ero prefissato.

Innanzitutto lo schema elettrico, da cui sempre si parte prima di realizzare una radio, di qualsiasi tipo essa sia, in pratica non esisteva. Quello abbozzato e pubblicato, quale provvisorio, sul sito di Radio Caterina, era stato disegnato sulla base delle notizie assunte attraverso alcuni dei reduci. Intuitivamente lo schema sembrava corretto, ma tra coloro che lo ricordavano non poteva figurare l'ideatore della radio, il tenente Olivero, nel frattempo deceduto. Qualche dubbio sullo schema pubblicato era confermato anche dagli amici di Carpi che, impegnati nella raccolta e trascrizione della documentazione, nel lavoro di "segreteria" necessario per la richiesta delle autorizzazioni alla pubblicazione degli articoli sul sito, e coinvolti in un progetto didattico volto a far conoscere le vicende degli Internati nelle scuole, hanno visto con entusiasmo il mio progetto di ricostruzione di una copia funzionante, che era nelle loro intenzioni ma non prioritaria.

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La Caterina in fase di assemblaggio

La Caterina in fase di assemblaggio.

La descrizione delle parti cui si compone Caterina e la lettura dei dati inerenti la costruzione delle bobine nonché quella del condensatore variabile mi lasciavano ancora qualche dubbio, ma la conferma che i dati riportati inizialmente sul sito erano solo teorici mi ha incoraggiato nella sperimentazione. Dubbi non ne avevo per quanto riguarda la costruzione dei condensatori fissi e la resistenza poiché avevo sufficienti cognizioni su come riprodurli.

Messomi alla ricerca della famosa valvola 1Q5, constatavo la sua difficile reperibilità. Consultando il manuale dei tubi elettronici della Sylvania osservavo che essa era un tetrodo a fascio, finale di bassa frequenza: accensione a l,4 volt e anodica ad 85. Casualmente la vidi impiegata, su una Rivista di radio d'epoca, nel primo portatile italiano: il Fido, costruito dalla Radiomarelli nel 1939.

Avevo constatato che, secondo i manuali, la 1Q5 non era un pentodo per alta frequenza come immaginavo in un primo momento, ma un tetrodo a fascio: una valvola attorno alla quale sarebbe stato difficile costruirci una radio. Troppo alte dovevano essere le capacità interelettrodiche in gioco perché potesse funzionare montata nel modo tradizionale, a meno che...

Certo, poiché nella bibliografia consultata si leggeva che i nostri amici riuscirono a far funzionare a dovere la radio, con una selettività eccezionale, alimentandola con soli 20 Volt di anodica, doveva esserci sicuramente il trucco! Confidando nella mia conoscenza delle valvole, ero convinto che in laboratorio avrei scoperto l'inghippo: ne ero certo!

Mettevo da canto, per il momento, il problema della valvola, in attesa che arrivasse al suo posto una 3Q5 reperita nel mercato del surplus. Mi è stato assicurato, unendomi copia della scheda tecnica della valvola, che essa sarebbe stata eguale in tutto e per tutto alla 1Q5, ma con due possibilità d'accensione, a 2,8 volt oppure a l,4 volt.

Nel frattempo mi dedicavo alla realizzazione delle due bobine.

 

Ignazio Secci | Prefazione | Le bobine | Condensatori e resistenza | Valvola e zoccolo | Contenitore, assemblaggio e collaudo | Le tavole e le foto

Pubblicato il 15/10/2007 - Ultimo aggiornamento: 15/10/2007

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