Scuola Officina

Scuola Officina Gennaio-Giugno 2006Nel numero 1-2006 (Gennaio-Giugno 2006) di Scuola Officina, organo del Museo del Patrimonio Industriale di Bologna, un articolo del Professor Alessandro Ferioli è dedicato all’epopea dei ricevitori clandestini nei campi di prigionia militari in Germania: Caterina, Gea, Radio B-90…

Sul sito del Museo è possibile prendere visione del sommario della rivista.

Caterina e le altre

L’epopea delle radio nei campi di prigionia militari in Germania

di Alessandro Ferioli

Durante il secondo conflitto mondiale nei campi di prigionia, quasi ovunque, operarono radio “clandestine”, apparecchi riceventi a volte introdotti di soppiatto nella confusione delle perquisizioni, in altri casi costruiti con materiali di fortuna dagli internati. La loro detenzione era vietata e punita, ma nonostante tutte le sanzioni previste dai regolamenti continuarono a funzionare e a ricevere notizie. Nei campi di internamento militari germanici la radio, in forme e modi diversi, ebbe una funzione importante, oltre che a lenire le sofferenze offrendo la parvenza di un contatto con l’esterno – anche se, in effetti, ridotto alla mera ricezione di qualche informazione proveniente da stazioni inglesi, francesi e italiane – divulgando ciò che accadeva nel mondo.

Quelle radio clandestine non erano soltanto un miracolo della creatività e delle conoscenze tecniche di alcuni ufficiali prigionieri, ma anche parte integrante di una resistenza senz’armi combattuta contro il terzo Reich che chiedeva ai nostri militari internati di riprendere le armi per continuare la guerra nazifascista, o di lavorare per sostenere l’economia germanica. Il bisogno di conoscere che, nonostante il pericolo d’essere scoperti, induceva alcuni a tentare la riparazione di un radioricevitore, o di realizzarne uno ex-novo, non era semplice curiosità ma il tentativo di trovare stimoli sempre nuovi per resistere alla propaganda nazista, alle lusinghe di una possibile via d’uscita rappresentata dalla collaborazione, a fronte di un trattamento disumano, alla fame e al freddo, alle malattie non curate.

La radio nei campi – si presume che in ciascun campo per ufficiali ve ne siano state almeno due o tre – rappresentavano, come scrisse l’internato Giovannino Guareschi, “l’unico legame col mondo dei vivi”: se scoperte venivano sequestrate e il possessore rischiava il trasferimento in un lager di punizione. Così avvenne nel campo di Sandbostel al tenente Luigi Lombardi, che per essere stato trovato in possesso di un apparecchio Philips fu condannato al carcere duro ad Amburgo, e al capitano D’Avolio a cui fu sequestrata la sua radio chiamata “Teresina”.

La radio più famosa fu però la “Caterina” realizzata a Sandbostel dal sottotenente Oliviero Olivero e dal tenente Carlo Martignago, con l’aiuto del capitano Aldo Angiolillo, del sottotenente Battista Talotti e del tenente Remo Tarini. L’unico pezzo “di fabbrica” era una valvola 1Q5 ad accensione a corrente continua, entrata nel lager nascosta in una borraccia; tutto il resto fu costruito all’interno del campo con mezzi di fortuna: quattro pezzi di compensato proveniente da un pacco-viveri composero il contenitore; il condensatore variabile di sintonia con manopola fu ritagliato dalle scatolette di latta della carne; un portasapone da barba con filo isolato avvolto faceva da bobina, mentre al suo interno un tubetto di cartone fungeva da variometro di reazione; la pila d’accensione era costituita da un vasetto d’estratto di carne, in cui si mettevano a bagno in varie soluzioni un pezzetto di zinco dalle vasche dei lavatoi e un pezzo di carbone preso dai rifiuti delle cucine. La batteria era un astuccio da lampadina tascabile che conteneva monete di rame da dieci centesimi alternate con dischetti di panno ritagliati dalle coperte: inumidita con ammoniaca ottenuta per distillazione, dava un po’ di tensione di placca per 45 minuti. L’elemento acustico era costituito da una scatoletta di Nescafè fornita da prigionieri d’altre nazionalità – che ne avevano in abbondanza – al cui interno risiedeva un magnete con il relativo avvolgimento. Le resistenze erano realizzate annerendo con grafite di matita la carta dei cubetti di margarina, tarate inserendole in serie su una lampadina.

Verso sera, tra le tra le 21 e le 24, Olivero, studente in ingegneria e appassionato di radiantismo, dalla sommità d’un letto a castello della baracca 65 e tenendo in bocca un capo del filo, così da fungere egli stesso da antenna, variava la capacità con l’avvicinare o l’allontanare opportunamente una gamba penzolante (mentre altri mantenevano bagnato l’assito di legno secco), variava la sintonia con la mano sinistra e con la destra appuntava le notizie in arrivo. Queste venivano raccolte e diffuse nella massima segretezza riguardo alla fonte, affinché non si scoprisse l’ubicazione della radio, e rapidamente facevano il giro delle baracche, “ritornando” in breve ai radio-operatori, che se la ridevano sentendo taluni vantarsi d’aver ascoltato “Caterina” con le proprie orecchie. Quest’attività contribuì enormemente a sostenere il morale degli ufficiali non collaborazionisti, consentendo loro di seguire tappa dopo tappa l’avanzata degli Alleati.

Il furto della dinamo della bicicletta d’un sottufficiale tedesco, utile come magnete per la radio, mise in guardia il comando germanico, che intensificò le perquisizioni e tolse la corrente alle baracche in orario serale. Nei ricordi del generale Egisto Fanti – per lunghi anni presidente dell’Associazione Nazionale Ex-Internati di Bologna (ANEI), scomparso nel 2000, spicca il giorno dell’annuncio dello sbarco in Normandia: i prigionieri, informati da “Caterina” ancor prima dei tedeschi, che non ascoltavano Radio Londra, a rischio d’essere scoperti e presi a fucilate dalle sentinelle sulle torrette riempirono il “laghetto” del campo – una gran pozza piena di fango – d’una moltitudine di barchette di carta, dimostrando così ai tedeschi d’essere meglio informati di loro. Quando il campo di Sandbostel fu chiuso, i prigionieri furono destinati in parte al campo di Wietzendorf e in parte a quello di Fallingbostel; in quest’ultimo – dove casualmente confluirono gli specialisti – fu realizzata un’altra radio, chiamata “Mimma”, a onde corte e con due valvole, che dava migliori possibilità d’ascolto. Furono innumerevoli gli inconvenienti che i tecnici dovettero affrontare: dalla mancanza di corrente all’inondazione di disturbi fortissimi che coprivano le trasmissioni interessanti; dal pericolo d’essere scoperti, poiché il ricevitore non si poteva nascondere, alla regolazione della selettività.

L’allora sottotenente Astro Gambari – oggi consigliere nazionale e presidente della sezione ANEI di Bologna – ricorda che “Caterina” rappresentò una delle più chiare vittorie morali dei resistenti italiani sul sistema concentrazionario tedesco. Gli internati militari, che nelle intenzioni avrebbero dovuto subire la propaganda martellante del terzo Reich sino a piegarsi ed accettare di collaborare, avevano invece trovato il modo di ascoltare le radio libere, interdette anche alla popolazione tedesca, costringendo la Gestapo a mobilitarsi per mesi interi alla ricerca degli apparecchi che neppure le più minuziose perquisizioni, con ricercatore elettromagnetico, riuscivano a portare alla luce. Anziché ridursi, giorno dopo giorno, alla miseria fisica e spirituale, anche grazie alla radio (ma non solo) essi avevano trovato invece, nella consapevolezza d’esser parte d’un ampio movimento internazionale di resistenza, un nuovo movente spirituale a sostegno della scelta compiuta. Gli ufficiali impegnati nell’attività di ricezione ricevettero, dopo il rimpatrio, un encomio solenne del Ministro della Difesa.

Il “cordone di sicurezza” costruito dagli italiani attorno alla radio, fatto di “pali” sempre all’erta, di finte “Caterina” e di false delazioni propalate per depistare la polizia nazista, si dimostrò sempre efficace; una volta smontato l’apparecchio, i singoli pezzi, fatta eccezione per l’elemento acustico, tornavano ad apparire per quel che erano, ovvero banali scatolette d’uso comune nel lager. All’impresa collaborò attivamente anche il bolognese d’adozione Vittorio Vialli, con compiti rischiosi di trasporto e occultamento di pezzi della radio, pur senza conoscere personalmente i radio-operatori, prassi, questa, per evitare denunce. Peraltro lo stesso Vialli è noto per le oltre quattrocento fotografie scattate clandestinamente, con la sua Leica, nei lager di Sandbostel e di Fallingbostel, alcune delle quali raffigurano la lettura in baracca delle notizie fornite da “Caterina” e le perquisizioni effettuate alla sua ricerca. La radio fu donata al Museo dell’Internamento di Padova, dove è tuttora esposta.

Recentemente, per iniziativa della sezione di Carpi dell’Associazione Radioamatori Italiani, ne è stata costruita una replica fedele con finalità didattiche, esposta al pubblico in occasione del 25 aprile 2005. Chi scrive avrà modo di prestare la sua consulenza in una serie di prossimi incontri, destinati agli studenti bolognesi, in cui proprio la curiosità suscitata dalla riproduzione di “Caterina”. si cercherà di coniugare la passione per il radiantismo d’oggi con quello di ieri, proponendo ai giovani alcune tra le pagine di storia meno studiate a scuola.

Negli stessi campi di prigionia sopra citati era disponibile anche un’altra radio, senza accumulatori, di marca tedesca A.E.G. e ribattezzata “Gea”, di proprietà del tenente Fernando Bacicchi, ma detenuta dal capitano Ugo Dragoni e da altri ufficiali della divisione Lombardia, da utilizzare in caso di guasto o requisizione di “Caterina”. Entrata di nascosto nel lager di Przemysl, “Gea” seguì il gruppo di internati nei trasferimenti ai lager di Küstrin, di Sandbostel, di Fallingbostel.

Proprio a Sandbostel fu sottratta in modo rocambolesco a una perquisizione, addirittura dopo che la Gestapo aveva sequestrato la cassetta personale dell’ufficiale in cui la radio era stata chiusa a chiave. Va sottolineato come a impedire alla polizia nazista di scoprire le radio furono sempre il senso di solidarietà, la freddezza e la disciplina degli ufficiali italiani. Durante le irruzioni, reiterate, dei carcerieri tedeschi nelle baracche, addirittura anche mentre era in corso la ricezione, non si lasciarono mai prendere dal panico e seppero sempre reagire con compostezza e sangue freddo, tanto da indurre le guardie, depistate da tanta indifferenza, ad ignorare gli indizi più palesi. A Fallingbostel, in prossimità dell’arrivo degli Alleati, furono proprio gli italiani, grazie alle ricezioni radiofoniche, a passare ai francesi la parola d’ordine della resistenza – Dousmenille 64 – guadagnandosi la loro ammirazione. Oggi “Gea” non esiste più, distrutta dall’alluvione di Firenze del 1966, che invase la cantina di Bacicchi.

Anche dopo la liberazione, nell’attesa del rimpatrio, avvenuto ben sei mesi più tardi, le radio aiutarono gli ex-internati a trascorrere il tempo ricevendo le notizie dall’Italia, che poi venivano discusse sotto il profilo politico, economico, sociale da coloro che sarebbero stati parte integrante della nuova classe dirigente del paese. In tale contesto ebbero una funzione particolare, nel campo di Wietzendorf, le trasmissioni di Radio B-90. Un apparecchio radio di grandi dimensioni era stato portato da Belsen, su una carrozzina per bambini, da alcuni ex-internati ormai liberi di vagare nei dintorni del lager. Il Comandante italiano mise a disposizione una baracca del pre-campo – la baracca numero 90, appunto – e un locale adiacente da collegare con la centralina elettrica, da adibire a cabina di trasmissione; furono poi approntati l’apparato ricevente e un apparato di trasmissione collegato a microfoni, quindi sistemati degli altoparlanti rivolti verso l’ampio spiazzo antistante, nel quale ci si riuniva per l’ascolto. La programmazione della radio – in cui ebbe parte preponderante Giovannino Guareschi – prevedeva uno spazio umoristico, servizi giornalistici che riferivano dell’ascolto di emittenti italiane e internazionali, riflessioni sulla situazione politica in Italia e rubriche d’intrattenimento musicale e di dialogo con i militari del campo.

Attraverso i microfoni di Radio B-90 s’intendeva ripercorrere le vicende salienti della prigionia, per rafforzare la consapevolezza resistenziale della scelta di non collaborazione coi tedeschi, ricordando anche i compagni uccisi dai nazisti o morti di stenti, traendone una lezione di civiltà, moralità e democrazia da mettere al servizio della “nuova” Italia: il fallimento della ” scommessa” del nazismo, di riuscire a piegare e controllare la volontà degli italiani mediante lo svilimento della loro dignità, era il fallimento di qualsivoglia totalitarismo presente e futuro. Perciò proprio gli ex internati, dopo aver saputo resistere ai tedeschi, si sarebbero dovuti impegnare nella ricostruzione democratica del paese, fornendo col proprio esempio un’alta testimonianza civile alle nuove generazioni. Questi propositi personali dovevano però convivere, nella cruda realtà quotidiana, con l’ansia per un rimpatrio che, dopo i primi entusiasmi, sembrava non dovesse avvenire più: infatti, mentre i soldati tedeschi smobilitati erano ormai già tornati alle loro case, gli italiani paradossalmente non riuscivano a comunicare coi propri cari, a dar notizie di sé e riceverne da loro, non sapevano la sorte delle loro case, e non sapevano che cosa sarebbe stato di loro stessi, dimenticati da tutti. Nel campo c’era quindi tristezza ma anche molto nervosismo, e a Radio B-90, tra uno scherzo e l’altro, toccò il compito di farsi interprete del sentimento comune, pur spiegando al contempo, in piena sintonia con il Comandante italiano del campo, le difficoltà oggettive dei trasporti e invocando comprensione e disciplina da parte di tutti.

Come ricorda Astro Gambari, anche gli operatori di Radio B-90, seppure non correndo i rischi dei tecnici di “Caterina”, furono di grande conforto agli ex internati, ormai liberi dai tedeschi ma non ancora liberi dall’orrore del lager in cui erano costretti a rimanere, fra sporcizia, servizi inesistenti e sovraffollamento; inoltre contribuivano a fare del tempo dell’attesa un tempo affatto “sprecato”, ma bensì impiegato – per la prima volta davvero in libertà dopo vent’anni di dittatura – nella formazione d’opinioni e d’un progetto di vita futura.

In definitiva quegli uomini “irriducibili” della resistenza – tecnici, radioamatori, giornalisti, autori, registi, attori, microfonisti, annunciatori, elettricisti e divulgatori di notizie – che in cattività e dopo la liberazione, pur tra mille pericoli, in condizioni apparentemente proibitive per la mancanza di tutto e lottando spesso con la loro stessa tendenza a “lasciarsi andare”, ebbero la forza di infilarsi un ricevitore acustico nell’orecchio o di prendere un microfono in mano, attraverso la radio resero un servizio prezioso ai loro compagni senza nulla chiedere in cambio.

Pubblicato il 24/04/2007 – Ultimo aggiornamento: 24/04/2007