Renzo Casagrande

La scala parlante - AIRE
Di Renzo Casagrande l’articolo RADIO CATERINA la radio della speranza pubblicato sul sito dell’Istituto Tecnico Commerciale Paritario GIACOMO LEOPARDI di Bologna.
L’articolo è stato pubblicato anche sulla rivista LA SCALA PARLANTE, organo ufficiale dell’Associazione Italiana per la Radio d’Epoca, nel numero 6 del 2004.

Riportiamo l’articolo di Renzo Casagrande, ringraziandolo insieme all’AIRE per averci autorizzato a pubblicare l’articolo, invitando ad approfondire l’argomento della prigionia degli I.M.I. sul sito dell’Istituto Tecnico Commerciale Paritario GIACOMO LEOPARDI di Bologna.

 

RADIO CATERINA

la radio della speranza

 

La radio “Caterina” nasce nel campo di prigionia di Sandbostel nella Germania nord-occidentale nel 1944, ad opera di alcuni ufficiali dell’esercito italiano ivi detenuti dopo i fatti dell’8 settembre 1943.

Gran parte del gruppo di internati si mobilitò alla ricerca di idee e materiali utili alla costruzione di vari componenti, in particolare il capitano Aldo Angiolillo e il tenente Oliviero Olivero idearono il circuito e costruirono i componenti necessari al funzionamento della ricevente, basata su una valvola (pentodo) di tipo 1Q5, fatta entrare di nascosto all’interno della borraccia del tenente Martignago.

Per costruire le bobine venne usato il filo di rame tolto dalla dinamo della bicicletta del postino tedesco (soprannominato Margarina). I condensatori vennero fabbricati usando la stagnola dei pacchetti di sigarette e le cartine stesse erano il dielettrico isolante; sciogliendo la cera delle candele, si cercava di migliorare il dielettrico dei condensatori stessi.

Per le resistenze venne usata la grafite delle matite, ma quel che più stupisce fu la capacità di alimentare detto apparecchio dato che una valvola abbisogna almeno di due sorgenti di alimentazione, una a basso voltaggio per l’accensione del filamento e una per l’alimentazione del circuito (anodica).

Per qualche tempo fu possibile alimentare la radio tramite l’illuminazione elettrica delle baracche, due sottilissimi fili nascosti nelle screpolature del legno, con all’estremità due spilli, risalivano fino ai fili della luce, dove all’occorrenza venivano conficcati nei conduttori stessi.

Quando i tedeschi responsabili del campo vennero a conoscenza dell’esistenza di una radio fecero togliere l’illuminazione elettrica dalle baracche degli italiani e allora divenne necessario alimentare la “Caterina” in modo indipendente.

La pila per il filamento venne costruita partendo da un rettangolo di zinco ritagliato dal rivestimento dei lavatoi, opportunamente sagomato a cilindro. Diversi furono gli elettroliti sperimentati, dagli acidi presenti in infermeria e sottratti inventando le più acute forme di reumatismi e malesseri vari per farsi ricoverare. Vennero provati anche degli stracci imbevuti di ammoniaca ricavata dai pozzi neri. L’elettrodo positivo era il cilindretto di carbone di una vecchia pila esaurita. Con audacia si procedeva anche alla ricarica della pila stessa, legandola ad una gamba, sotto alla tonaca del Padre Cappuccino Luigi Grigoletto, meno sospettabile e non soggetto a perquisizioni, il quale si recava poi in infermeria con il pretesto di visitare gli ammalati. La batteria anodica fu realizzata alternando monete di rame da 10 centesimi e dischetti di zinco dello stesso diametro, tra i quali veniva interposta una garza imbevuta da liquido dei sottaceti (liquido a composizione acida) avuti dai prigionieri francesi che erano assistiti dalla Croce Rossa internazionale e quindi godevano di un trattamento migliore a differenza degli italiani. In pratica la pila di Volta. Come cuffia d’ascolto venne usata una scatoletta di latta il cui fondo era stato opportunamente sagomato per ottenere una membrana sensibile e all’interno vi era collocato un magnete con del filo avvolto.

Il componente più originale e forse più importante però era il corpo del tenente Oliviero, che tenendo in bocca il filo d’antenna e avvicinando ed allontanando un piede al pavimento portava il ricevitore in prossimità dell’innesco dove, come si sa, i ricevitori in “reazione” hanno la maggiore sensibilità.

L’ascolto avveniva sempre tra le 21 e le 23 mentre il campo era senza luce e gli altri prigionieri dormivano e le notizie venivano lette al mattino successivo da due ufficiali (Capolozza e Pisani) i quali passavano poi il “bollettino” ai lager confinanti dopo averlo tradotto in inglese.

Numerose furono le perquisizioni, in particolare il 27 gennaio del 45, le pareti, i pavimenti i tetti delle baracche maggiormente sospettate, furono quasi completamente disfatti da squadre della “Gestapo” alla ricerca della sfuggente radio, ma la smontabilità della “Caterina”era una delle sue principali caratteristiche e così il variabile diventava un innocuo raschino per pulire, il contenitore diventava una scatola portaoggetti appesa alle brande, l’auricolare, una scatoletta portamonete e il gruppo bobine-variometro veniva nascosto in una gavetta sotto scorze di patate.

In questo modo tutti i tentativi di scoprire Radio Caterina furono sempre elusi e
per più di 12 mesi questa fu l’unica voce della verità e della speranza per centinaia di persone che oltre a vivere in condizioni precarie, erano anche all’oscuro di ciò che accadeva nel mondo.


Riproduzione "statica" della radio Caterina ad opera di Renzo Casagrande

Riproduzione “statica” della radio Caterina

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Ho cercato di ricostruire il più fedelmente possibile una copia statica della radio Caterina, potendomi basare sull’osservazione e sulle foto da me scattate all’originale, conservata nel museo dell’internamento di Padova.

Tecnicamente si tratta di un ricevitore in reazione ad una valvola con circuito di sintonia a variometro, più un condensatore variabile realizzato con due spicchi di lamiera di rame separati da un foglio di carta oleata; l’armatura mobile sporge per poter essere mossa (vedi foto). Semplicemente sfilando la spinetta di legno, sulla sinistra, che serve a far ruotare la bobina interna, tutto il gruppo viene liberato e pronto ad essere tolto (a volte strappato) e nascosto. Ovviamente non ci sono saldature e tutte le connessioni sono effettuate a filo ritorto. Ho provato a ricreare la batteria anodica utilizzando le attuali monetine da 5 centesimi di Euro, alternando dei dischetti di zinco dello stesso diametro e interponendo dei dischetti di stoffa imbevuta di aceto. Con 10 elementi ho ottenuto una tensione di poco superiore ai 12 volt e qualche milliampere, permettendomi di accendere 6 led per qualche minuto (i risultati migliori si ottengono con l’aceto a 7 gradi di acidità). Deduco che la tensione ricavata dalla batteria originale fosse di 20-25 volt, dato che gli elementi erano 20.

Se in futuro dovessi rintracciare altre notizie o caratteristiche costruttive, non escludo di ritornare sull’argomento.

Un ringraziamento particolare va al direttore del museo, Don Alberto Celeghin, che mi ha dato la possibilità di consultare l’archivio del museo stesso da cui ho potuto trarre notizie approfondite su questo particolare ricevitore unico al mondo, eccezion fatta per la radio “Mimma”, simile alla Caterina, ma con la possibilità di ricevere anche le Onde Corte e costruita successivamente nel campo di Fallingbostel nel nord della Germania quando quasi tutto il gruppo di Radio Caterina fu ivi spostato.

Coloro che volessero vedere di persona l’originale della Radio Caterina, e altri particolari storici di quel periodo, possono visitare il Museo dell’Internamento a Padova (Loc. Terranegra) Viale dell’Internamento Ignoto, 24.

Per contattare il museo, telefonare al n. 049751986.

P.S.
Il museo è aperto anche la Domenica dalle 9.00 alle 12.00 e dalle 15.00 alle 18.00

Renzo Casagrande

 

Aggiungiamo solo che il Museo dell’Internamento è situato a fianco del Tempio dell’Internato Ignoto.

 

Pubblicato il 14/10/2006 – Ultimo aggiornamento: 14/10/2006