Il Giornale della Toscana

Il Giornale della Toscana 2 marzo 1999Martedì 2 marzo 1999, “Il Giornale della Toscana” dà l’annucio della morte di Oliviero Olivero, realizzatore e operatore di radio Caterina, dedicandogli ampio spazio. Purtroppo la copia in nostro possesso non è ben leggibile in particolare il primo dei campi in cui fu trasferito Olivero (Chelm?). Anche la fotografia non è ben distinta, ma saremo felici di pubblicarne una appena nel caso qualche lettore voglia inviarcela. La data della morte di Olivero dovrebbe corrispondere al 28 febbraio 1999.

 

Quella piccola-grande radio “Caterina”

di Camilla Marotti

 

Che quel ragazzo aveva dell’ingegno, lo si capì presto, per non dire subito. Da quando, ancora studentello delle elementari, costruì un piccolo apparecchio di radio a galena in una scatola di fiammiferi, lasciando di sasso maestri e insegnanti. Quel bimbetto, che si chiamava Oliviero Olivero, ed era nato a Torino nel ’19, è morto due giorni fa a firenze, dove viveva da anni e dove era uno dei membri dell’Associazione ex internati. Internati, per l’appunto, nei lager tedeschi, come toccò in sorte a circa 650 mila ufficiali e soldati italiani dopo i rastrellamenti dell’8 settembre ’43.

Olivero, però, non era uno come tanti. E non solo per quella storia della radio nella scatola di fiammiferi. Quel ragazzo aveva del fegato, oltre che del cervello. Qualche anno dopo, in pieno regime fascista, quella sua passione per radio e transistor lo portò a costruire apparecchi di radiotrasmissione, e a tenere contatti in tutta Italia e nel resto d’Europa con i cosiddetti radiantisti. Era ovviamente rischioso e vietatissimo, tanto che s’ingegnò a costruire, nella villa di famiglia, a Bra, un complicato sistema di fili sospesi tra le fronde degli alberi del parco, in modo che non fossero visibili da fuori.

Così era fatto Olivero, che nel ’40 frequentò il corso allievi ufficiali artiglieria e divenne l’anno dopo sottotenente. Fu assegnato al 131° Rgt. Artiglieria corazzata Divisione Centauro. Nel settembre ’43, mentre era in licenza per malattia, fu catturato dai tedeschi alla stazione di Reggio Emilia e portato in Germania. E siccome certi tratti sono duri a morire, Olivero, quando gli venne rivolta la domanda di rito – se voleva collaborare con i tedeschi combattendo o lavorando nelle fabbriche – rispose ovviamente «no». E così finì dritto nel lager, anzi in più lager. Perchè quel giovane magro con gli occhi azzurri di campi ne girò (parecchi) – passando attraverso Chelm (nome non ben leggibile, ma probabilmente corrisponde a Chelm, ndr), Meppen, Oberlangen e Fallingbostel – e fu proprio in uno di questi, a Sandbostel, che iniziò l’avventura di «Radio Caterina».

Così la racconta lo stesso Olivero, in un capitolo di Resistenza senz’armi, il libro fatto pubblicare dall’Associazione nazionale ex internati (Le Monnier, 1998): «La rassegnazione e l’adattamento non trovano immediatamente e facile ricetto nell’animo dell’italiano. Circondati da molteplici ordini di filo spinato, da odi, da fossati, da disprezzo; trascorsi i primi tempi di incertezza, persi i tentennanti, iniziammo una nostra vita i cui elementi principali erano l’attesa e la speranza. Il bisogno di sapere cosa stava avvenendo intorno a noi ed alle nostre cose lontane era così imperioso che spesso superava ogni cosa, perfino la tremenda fame ce ci aveva ormai ridotti a scheletri». Nacque da questo, da questa voglia di sapere cose, quella straordinaria aventura. Quella che portò Olivero e alcuni altri internati a costruire un «aggeggio» con mezzi di fortuna, raccattati nella misera vita del campo. Un aggeggio, però, capace di captare le frequenze radio, e in particolare di avere informazioni fresche sull’avanzata degli alleati.

«Caterina» compì il miracolo di far conoscere a quei disperati ciò che accadeva nel mondo, prima ancora dei loro stessi carcerieri. Accadeva così che gli allarmati tedeschi, udissero circolare per il campo notizie ad essi sconosciute. E che immaginando l’esistenza di un apparecchio di ricezione ovviamente vietato e clandestino, si abbandonassero a frequenti e furenti ricerche, che portarono anche alla distruzione di alcune baracche. Ma mai, nella storia che giunge fino alla liberazione di Olivero e gli altri compagni, riuscirono a mettere le mani su quell’ingegnoso marchingegno. Olivero lo descrive così: «La Caterina era una trappoletta di cm. 9x10x5 e nacque dal niente. L’unico componente disponibile era la valvola 1Q5, che era entrata nascosta nella borraccia piena d’acqua di Martignago, alla quale era stato tagliato il fondo, riattaccato poi con il catrame. Restavano da inventare e costruire tutti gli altri componenti, usando i materiali radioelettrici». E Olivero, insieme a qualche altro compagno fidatissimo, li trovò. Fu l’anima e l’inventore di quel fenomenale apparecchietto che ogni giorno veniva smontato e ogni sera rimontato. «La “Caterina” non ebbe mai dimora stabile, ma nelle ore tra le 21 e le 24 funzionava per lo più nel cosiddetto magazzino, contenente stracci, pulci, pidocchi affidati al tenente Titta Talotti… Nel silenzio della notte facevo acrobazie auditive per estrarre dall’auricolare frammenti di notizie; riuscivo a ricevere Radio Londra, Berlino, Busto Arsizio, Parigi e Bari… In un angolo del magazzino tenevo l’auricolare aderente all’orecchio con un sciugamano che mi fasciava il capo come un turbante. Con una mano regolavo il condensatore variabile e il variometro, mentre con l’altra scrivevo in una specie di stenografia le notizie che ascoltavo in inglese, francese, tedesco e italiano. Tenevo in bocca un filo, funzionando io stesso da antenna, e con un piede più o meno vicino al pavimento bagnato ne regolavo la capacità, mantenendo il ricevitore ogni istante nelle condizioni di ascolto migliori. La luce era data quasi sempre da una lampada piccolissima costruita con una fialetta di vetro contenente poche gocce di “Cuprex” (il petrolio contro i pidocchi che i tedeschi talvolta ci davano). Nel “Cuprex” era immerso uno stoppino, acceso con una fiammella alta mezzo centimetro». A quelle notti piene di paura ed esaltazione seguiva poi una rodata e ferrea organizzazione per la diffusione nel campo delle notizie. Ancora Olivero:«Del notiziario di radio “Caterina” si facevano ordinariamente due copie, una delle quali veniva portata… alla commissione C.P. (così chiamata dai nomi dei componenti: Capalozza e Pisani). Questa, che peraltro ignorava la provenienza delle informazioni, provvedeva a leggere il bollettino nelle baracche e di lì a voce le notizie si diffondevano in tutto il campo. Un’altra copia era tenuta da (Carlo ndr) Martignago, che ne dava comunicazione ad altri amici. Subito le copie erano distrutte.».

Fu così che Olivero, Martignago e gli altri, nel giugno ’44 vennero a sapere dello sbarco in Normandia prima di tutti, là nel campo. Prima ancora una volta dei loro aguzzini.

Con loro c’era anche Giovannino Guareschi, lo scrittore che di Olivero fu compagno ed amico anche dopo, nell’Associazione. Quando ormai quel ragazzo snello dal pallino delle radio era divenuto un ingegnere di nome nel campo della telefonia, dove brevettò molti suoi ritrovati tecnici originali e per molti anni lavorò con la società fiorentina Siette, realizzando impianti di grandi dimensioni in Italia e all’estero.

I funerali di Oliviero Olivero si svolgeranno oggi alle 10 nella chiesa parrocchiale di San Jacopino. Saranno presenti, ovviamente, i vecchi compagni di prigionia dell’Associazione ex Internati, con i quali era rimastostretto collegamento.

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Una recente fotografia di Oliviero Olivero

Una recente fotografia di Oliviero Olivero.


Sotto il titolo, la dedica di Giovannino Guareschi “Ai miei compagni che non tornarono“, dal Diario clandestino:

Ai miei compagni che non tornarono

Egli pensa che, questa notte, nel Lager nessuno guarderà il cielo del nuovo anno: pensa ai compagni che non sono tornati ma che un giorno ritroverà.

Sulle strade ferrate corre silenzioso un treno fantasma. È un treno che ha girato per tutte le strade ferrate di Germania, di Polonia, di Russia, di Jugoslavia e ha fatto sosta a tutti campi di concentramento, ed è un convoglio che non finisce mai perché è il treno che porta le anime dei morti in prigionia. Ora corre per le strade ferrate d’Italia e si ferma soltanto quando c’è da caricare l’anima di un ex-prigioniero. E quando, fra cinquanta o sessant’anni, avrà caricato le anime di tutti i reduci, prenderà l’aereo binario che porta dove Dio vuole, e nessuno in terra lo vedrà più.

Egli sa che un giorno il treno fantasma fermerà alla stazione del suo paese, e anche lui salirà e ritroverà così i compagni perduti.

E, nell’attesa, si consola di ogni anno che passa.

Giovannino Guareschi

 

Ai miei compagni che non tornarono, in Diario clandestino, Rizzoli, 1949.

 

Nota:

Pubblicato il 03/02/2007 – Ultimo aggiornamento: 03/02/2007