Carmelo Cappuccio

Carmelo Cappuccio

STORIA DI UNA RADIO CLANDESTINA

di Carmelo Cappuccio

Pagine 157-166

3 – L’organizzazione

Come era organizzata la difesa di “Caterina” dai mille pericoli che la minacciavano? Credo che mai si sia creata in America, intorno ai piccoli figli dei miliardari, ai tempi dei rapimenti dei “gangsters”, una così accurata e meticolosa difesa. Si aggiunga che la protezione doveva essere silenziosa e dissimulata, e che nessun pagamento di taglia avrebbe potuto salvare la piccola Caterina una volta requisita.

Immaginiamo, anzitutto, di entrare una sera nel magazzino di Talotti alla baracca 69. Tutti gli elementi, le preziosa membra di “Caterina” stanno su una coperta: il filo che la allaccia alla corrente pende dall’alto, Olivero ascolta. Nella stanzetta vi è di solito Martignago in un angolo: spesso fa da terzo il Talotti. Fuori, nei luridi gabinetti, vi è una catena di sorveglianza affidata a Calcaterra, a Levere, a Possenti, a Cacciolati e ad altri. All’esterno del magazzino, accanto alla finestra fa buona guardia un altro ufficiale. Il servizio si effettua con la pioggia, col vento, con la neve, sempre. Se nel campo entrano dei tedeschi, la catena avverte accendendo dei fiammiferi: l’ufficiale di sentinella ai gabinetti ne muove uno da una finestra prestabilita. L’allarme arriva al magazzino, con tutte le precisazioni del caso: se i tedeschi son due, se molti, se della polizei, se vi è Tecek il sergente pericoloso. Quando la minaccia è grave, l’ufficiale di guardia dietro la finestra bussa alla baracca, chiamando “Federico”. Allora il filo viene staccato con un rapido strappo e la luce ad un tempo si spegne, la coperta raccoglie e fascia le membra di “Caterina”, l’involto esce dalla finestra ed è accolto nelle braccia della sentinella, che scompare con il dolce peso, abilmente trasferendolo, secondo accordi prestabiliti, in un luogo sicuro. Finché si lavorò nel magazzino, era stabilito che Talotti avrebbe assunto su di sé ogni eventuale responsabilità, affrontandone le conseguenze: bisognava a qualunque costo salvare la “Caterina” e Olivero, il mago della radio, senza il quale non si sarebbe potuto ricostruire il gruppo degli specialisti.

Queste le misure stabilite per le ore di ascoltazione. Ogni notte poi, quando “Caterina” cessava di parlare, le sue membra venivano separate: ogni parte della radio entrava in gavette, o in piccole borse, e vari ufficiali si avviavano guardinghi, alla chetichella, in giro per il campo, per vie diverse, a portare il piccolo bagaglio loro affidato ad altri ufficiali che attendevano in varie baracche. Questi, dopo un breve tempo, a loro volta uscivano e recavano in luoghi prestabiliti, ad altri compagni, il frammento di “Caterina” avuto in consegna. Allora soltanto, ben nascoste, le membra staccate posavano, in un sonno sereno, fino alla notte successiva. Così la rete difensiva, a catena verticale e mai orizzontale, impediva le sorprese e annullava le piste. Ma credete che tutto ciò abbia impedito le ore di pericolo? Bisogna considerare la possibile distrazione di una sentinella, la malattia di un ufficiale addetto alla guardia, la stanchezza, la difficoltà di resistere per ore all’aperto, in certe serate di gelo nordico, quando ogni raffica di vento si divertiva con gli stracci in cui era avvolto il povero piantone. E bisogna anche pensare a qualche sera di audacia rapidamente punita. Una notte ci si trovò con un tedesco dinanzi alla finestra, e il materiale infagottato nella coperta non poté uscire. Era stato appena rapidamente nascosto dietro alcuni bidoni d’acqua, quando entrò Tucek spalancando la porta. I tre fingevano di chiacchierare tranquillamente: Tucek perquisì sommariamente, ingannato da tanta serenità, e non trovò nulla. Un’altra volta, per la fitta nebbia, Tucek riuscì ad arrivare alla stanzetta senza essere preannunziato: fortunatamente non vi erano state spie ed egli non aveva sospetti. Olivero ascoltava in un angolo, dietro un castello, con la cuffia; il filo pendeva dall’alto. Solo dei nervi di acciaio permisero la salvezza. Il mago rimase immobile, continuando ad ascoltare, Talotti invece, unico apparente inquilino del locale, iniziò una serrata conversazione col Tucek e insensibilmente, coprendo Olivero, lo trascinò verso la porta per mostrargli dei guasti compiuti dagli ufficiali nel corridoio della baracca. E Tucek, dopo aver minacciato punizioni gravissime per quei danni all’impiantito, se ne andò tranquillamente, senza che l’ascoltazione fosse interrotta.

Come si diffondevano le notizie di “Caterina”? Una copia del notiziario veniva consegnata al ten. Emilio Giordano, che la recapitava al Centro Propaganda, che ignorò a lungo donde venissero le informazioni. Capalozza e Pisani pensavano a diffonderle per il campo, comunicandole alle baracche degli ufficiali provenienti da Oberlagen: di lì esse si diffondevano da se stesse fra tutti gli ufficiali. Un’altra copia la tratteneva Martignago, che ne dava la lettura ad alcuni amici fidati. Solo nei primi tempi si fece una terza copia per il maggiore Santilli, che però in breve si estraniò dall’organizzazione a cui aveva dato il primo impulso. Nel campo non dovevano esistere altre copie: anche queste due venivano distrutte subito, appena assolto il loro compito.

Già da tempo Martignago aveva a sua disposizione un ufficiale che, fingendo di essere d’accordo con la Gestapo, informava invece il gruppo di tutto ciò che riusciva a sapere. Una e vera e propria organizzazione di controspionaggio. Senza entrare in particolari inopportuni, accennerò ad alcuni avvenimenti collegati al nostro argomento e alla vita del campo XI B. I tedeschi sapevano che tra gli ufficiali del Lager circolavano le notizie di radio Londra: convinti che vi fosse un apparecchio si accanivano a perquisire. Era necessario deviare l’attenzione e i sospetti. L’ufficiale addetto al controspionaggio fu incaricato di far sapere ai tedeschi che le notizie giungevano per opera dei loro stessi soldati che entravano la mattina per l’appello. Allora si vide un fatto nuovo. La mattina i “crucchi” adibiti al controllo entrarono inquadrati, e non fu loro permesso di rompere le righe finché noi tutti non fossimo in fila per l’appello. E quando questo lungo tormento era finito, i tedeschi erano subito in fila e se ne uscivano in drappello, rigidamente inquadrati, come soldatini di piombo. Così era evitato ogni contatto: ma le notizie continuavano a circolare. Allora col solito mezzo fu spiegato ai tedeschi che le notizie giungevano ugualmente attraverso i loro sottufficiali che tornavano nel Lager dopo l’appello per ragioni di servizio e si recavano a volte in qualche baracca per commerciare. Fu così che molti sottufficiali furono inviati al fronte, e sparirono dal Lager italiano il “gobbetto”, la “zampa di legno” ed altri caratteristici graduati: al loro posto vennero dei rigidi e provati sottufficiali, che accrebbero i nostri tormenti. Pure, le notizie continuavano a circolare e il comando tedesco, impensierito, ricominciò le perquisizioni e le indagini. L’attenzione tedesca fu allora deviata sui prigionieri russi che trascinavano tristamente il carro M, una lurida botte che schizzava la materia graveolente che veniva a raccogliere varie volte al giorno dai nostri gabinetti. Fu un cattivo servizio che noi facemmo involontariamente ai nostri soldati. I russi non entrarono più nel nostro campo: trascinavano il carro sino alla porta d’ingresso, e lì, alla presenza delle sentinelle, lo lasciavano in un rettangolo chiuso da reticolato, dove poi lo andavano a ritirare i soldati italiani nuovamente incaricati dell’orribile servizio: e il carro M, riempito di ammorbanti sozzure, tornava poi nel rettangolo donde era stato prelevato e dove i russi si recavano poi a riprenderlo, per trascinarlo nelle grandi fosse di scarico aperte nella campagna dinanzi ai nostri reticolati. E questo flusso e riflusso del carro M si ripeteva varie volte durante tutta la giornata.

Le notizie continuavano a circolare ugualmente, com’è naturale, e le perquisizioni fioccarono senza sosta. Tra l’altro, una terribile fu eseguita il 27 gennaio del ’45 alla baracca 67 e alla 65: i pavimenti, le pareti, i tetti furono quasi disfatti da squadre della Gestapo, che si accanirono per una giornata sulla nostra povera miseria, mentre gli ufficiali inquadrati attesero al freddo che tanto scempio avesse termine. Ma i “crucchi” non si accorsero che Olivero e Talotti erano riusciti a fotografare la loro opera di devastazione, a ricordo della crudeltà impotente dell’ormai moribondo terzo ed ultimo Reich.

 

Si ringrazia l’Associazione Nazionale ex Internati (ANEI) per avere autorizzato la pubblicazione. Ci limiteremo a riprodurre esclusivamente il materiale relativo ai ricevitori radio, invitando alla lettura delle pubblicazioni complete per approfondimenti.

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Pubblicato il 06/11/2006 – Ultimo aggiornamento: 06/11/2006