Carmelo Cappuccio

Carmelo Cappuccio

STORIA DI UNA RADIO CLANDESTINA

di Carmelo Cappuccio

Pagine 157-166

1 – I protagonisti

Voglio cominciare dalla presentazione dei principali attori della impresa che dette vita a “Caterina” e poi a “Mimma”, le ultime radio clandestine dei campi di Sandbostel e Fallingbostel; accanto ad essi man mano si affollerà un altro gruppo di personaggi, che concorsero all’ardua opera e ne agevolarono l’attuazione. Tra gli ufficiali venuti da Oberlagen, vi era il s. ten. Olivero, un ragazzino smilzo, biondo, con occhi celesti nascosti sotto due ampi occhiali. Su due zoccoli stranissimi e di sua creazione si issava un lacero cappotto, sormontato da un complesso a triplice coperchio, che ad un’attenta osservazione si rivelava composto di un berretto da ciclista inguainato in un passamontagna, anch’esso ricavato da una coperta: il tutto finiva in una specie di cuffia ricavata da un telo da tenda che arieggiava, per la sua foggia, i copricapo olandesi, terminanti in due punte. A convincere che si trattava di un uomo e non di un fantasma, spuntavano dal complesso gli occhiali, con quei due occhi celesti sperduti dietro i cristalli appannati dal freddo. Olivero era il mago della radio e con tale nome lo indicarono sempre gli amici stupiti della sua eccezionale competenza radiotecnica.

Da Deblin era arrivato, prima di Olivero, il cap. Aldo Angiolillo, il moto perpetuo incarnato in un uomo. Gli inglesi lo trovarono con un saldatore in una mano e un martello nell’altra. Fu un realizzatore instancabile. Se non poteva costruire un condensatore di fortuna (ne avrà fatti trecento) pestava su una lamiera, avvolgeva come un ragno 5000 spire di filo intorno a una bacchetta, fabbricava un forno per rimanipolare delle patate, limava con orribile stridore tutti i metalli che gli capitavano. Era lui il sabotatore dei nostri lavatoi, l’affamato divoratore di lastre di zinco, era lui che frugava il campo in cerca di barattoli vuoti. Nessuno ha mai saputo quando dormisse: allorché tutti i suoi compagni furono stanchi del suo fracasso, riuscì a ricavarsi un laboratorio sotto il palcoscenico di una specie di teatro, e lì come una talpa continuò le sue fatiche senza sosta.

Il terzo fu il ten. Carlo Martignago, il più arrabbiato antitedesco di tutto il campo. Fumatore accanito, avrebbe regalato tutta la sua competenza d’ingegnere idraulico per una sigaretta: ma molte volte sacrificava il tabacco ottenuto a caro prezzo per procurare un raselet, un filo di rame, un manolux, un po’ di ammoniaca. Era il galvanizzatore dei suoi compagni, il più furbo e il più audace. Organizzava e attuava i suoi piani con una intelligenza rapida e meticolosa, tanto più efficace in quanto si nascondeva sotto un atteggiamento impagabile di inoffensivo candore.


Questi tre ufficiali vennero a contatto dopo varie vicende e crearono nel Campo il più formidabile dei triumvirati. Ma prima di unirsi in società, ognuno di essi aveva già svolta nel Lager una interessante azione.


Martignago era arrivato a Sandbostel in marzo, con qualche “cicca” e una misteriosa borraccia foderata, dentro la quale, come nel cavallo di Troia i guerrieri, stavano 5 valvole, una serie completa da apparecchio Supereterodina, a basso consumo. Angiolillo era giunto con quattro pile di cui solo tre efficienti, due valvole e una resistenza. Olivero non aveva con sé nulla, fuorchè i suoi magnifici copricapo, sotto i quali vi era però un cervello non comune.


In un primo tempo, Angiolillo avvicinatosi al tenente Torricelli, si era posto con lui al lavoro per la costruzione di una radio. I due avevano potuto ottenere dal sottotenente Cevoli due valvole, che stavano ben nascoste nella borraccia misteriosa di Martignago. Con esse e col materiale di Angiolillo avevano creata una radio a onde medie: utilizzando poi un raselet e un manolux, avevano costruito una cuffia.

Così nacque la prima radio nel nostro Campo e cominciò a vivere e a parlare: ma la povera creatura risentiva della povertà del materiale con cui era stata costruita, e se udiva le stazioni tedesche più vicine non riusciva ad andare oltre.

Nello stesso periodo tra la fine di aprile e i primi di maggio, Martignago e Cevoli riuscirono a costruire un’altra radio a onde medie. Anche questo apparecchio non dette buoni risultati, ma le curiose vicende che ne accompagnarono la costruzione meritano di essere ricordate, per il loro sapore comico e per l’abilità che vi appare continuamente connessa. Il lavoro fu molto faticoso: occorreva molto materiale, non tanto per la realizzazione dell’apparecchio, quanto per costruire una cuffia. Dove trovare un magnete e abbondante filo di rame sottile? Una certa quantità di filo si ricavò da sette manolux, in parte avuti in regalo da compagni, in parte acquistati con un po’ di tabacco e cedendo per alcuni giorni la propria razione di pane. Ma il filo era ancora insufficiente e in tutto il Campo non si riusciva a trovarne dell’altro. Fu allora che Martignago iniziò quelle sue imprese da romanzo giallo che lo resero famoso tra noi e caro a tutti i compagni. Egli aveva notato che il sergente tedesco addetto alla misera baracca pomposamente chiamata “infermeria” giungeva nel campo con una vistosa bicicletta munita di dinamo, che doveva perciò avere una certa quantità di filo di rame. La bicicletta a volte restava all’ingresso della baracca, più spesso seguiva il suo padrone nei locali interni. una mattina, dopo vari giorni di accurata sorveglianza, Martignago, mentre Cevoli faceva da palo, si lancia sulla bicicletta con una specie di pinza e un coltello. Pioveva, e intorno si era fatto il vuoto e un profondo silenzio. Con fatica Martignago tenta svitare la dinamo, ma il bullone è arrugginito: allora strappa il filo e si lancia nella sua baracca col prezioso materiale: ricupera ciò di cui ha bisogno, rimonta alla meglio la dinamo, perchè paia intatta, e corre a sistemarla sulla bicicletta dell’ignaro sergente. Così con due barattoli del tonno inviatoci dal Nunzio Apostolico (ce n’erano toccati 24 gr. a testa), del cartone, della cera di catrame, il magnete d’un manolux e il filo di rame variamente raccolto, si iniziò la costruzione della cuffia. Ed era già quasi pronta quando fu travolta da una disgrazia.

Era già sera tardi, ma Cevoli e Martignago avevano la febbre di completare il loro capolavoro. Nella stanzetta 10 della baracca 83, sul tavolo, stavano la cuffia quasi ultimata, delle pile, un manolux: ad un tratto la porta si spalanca con orribile fracasso e due tedeschi si precipitano sul tavolo gridando “radio radio”: si impadroniscono di tutto e corrono rapidi dai loro superiori, a farsi belli della caccia compiuta. Rimessi dalla sorpresa i due ufficiali italiani corrono a togliere dal nascondiglio l’altro materiale imboscato e lo portano in salvo dal tenente Vialli: poi, stabilito un piano di condotta per l’immancabile sviluppo della situazione, si stendono sui loro “castelli” e fingono di dormire.

Distesi e profondamente addormentati li trovano dopo mezz’ora i due “crucchi” di ritorno, che si ritirano silenziosi sulle posizioni prestabilite, secondo i piani del loro Comando. Ma la baracca restò piantonata tutta la notte.

Il piano concordato era dei più semplici, ma anche dei più originali. Cevoli, l’unico di cui avessero segnato il nome, interrogato dalla Ghestapo doveva dichiarare che il materiale sequestratogli serviva per la costruzione di un cornetto acustico per un compagno sordo, il tenente Minestrina. che aveva in realtà un udito più basso del normale: ma ad ogni domanda relativa alla radio doveva soltanto negare, mostrando stupore. La mattina prestissimo, il Cevoli fu prelevato e condotto all’ufficio della Polizei: e lì spiattellò la sua spiegazione. Naturalmente non riuscì a convincere i tedeschi, e allora uno squillo minaccioso di tromba fermò sull’attenti tutto il Campo, mentre vari segugi cercavano e chiamavano a gran voce il tenente Minestrina. Martignago intanto aveva anche lui cercato affannosamente il Minestrina, ma senza riuscirvi: aveva, sì, incaricato i fratelli Betta, nella cui baracca egli abitava, di avvertirlo, perchè facesse il sordo, ma l’avviso, sussurratogli poi dinnanzi ai tedeschi che lo prelevavano, non fu da lui capito. Così il Minestrina e il Cevoli si trovarono insieme, in un serrato confronto, nell’ufficio della Polizei inviperita. È difficile immaginare la faccia del Minestrina quando gli fu chiesto se era sordo e se sapeva nulla di un cornetto acustico. A sentirsi chiamare sordo, dette in escandescenze e gridò di non sapere nulla di baggianate acustiche. Pure dalla scena dovè risultare che un udito proprio normale Minestrina non lo aveva.

I due ufficiali italiani si conoscevano soltanto di vista e al Cevoli imbarazzato non restò altro espediente per sgusciare da quella rete che fare il nome di Martignago. Altro squillo di tromba, altro attenti, e rapido trasporto di Martignago alla Polizei. Egli vi entrò mentre il Cevoli e il Minestrina ne uscivano, e si trovò dinnanzi al sergente Tucek e al Sonderfuhrer, l’interprete spagnolo che dirigeva le indagini di polizia nel campo. Ignorava a che punto fosse giunta l’inchiesta, i risultati dei precedenti interrogatori: gli parve il momento più opportuno per fare una faccia da inebetito. Il Sonderfuhrer parlava soltanto lo spagnolo e il tedesco: da buon poliziotto orgoglioso gli seccava di servirsi del Tucek come interprete, convinto che tutti i suoi fiaschi derivassero dal suo compagno che gli sciupava, traducendo, le astuzie dell’interrogatorio: e cominciò col chiedere in spagnolo al Martignago se intendesse quella lingua. E questi rispose di sì con un gesto. Allora fu un fuoco di fila di domande nella lingua degli “hidalghi”, durante le quali Martignago che intendeva perfettamente continuò a far gesti vaghi di assenso e diniego. E seguitò a far così finchè potè capire a sufficienza quale fosse la linea possibile di difesa: allora si rivolse al Tucek candidamente e dichiarò di non aver capito nulla. Immaginatevi l’ira del Sonderfuhrer e la risata del Tucek, ricondotto alla sua autorità. Martignago spiegò che non aveva osato interrompere prima per non commettere un atto di insubordinazione e che non era colpa sua se non capiva le lingue orientali. Non c’era scampo: bisognò ricominciare da capo l’interrogatorio, attraverso la trafila dell’interprete. Fu così che il Minestrina fu dichiarato sordo ancora una volta, ma come tutti i sordi permaloso: e fu assicurato che il cornetto acustico lo si creava a sua insaputa e gli sarebbe stato offerto solo a costruzione ultimata, se fosse riuscito: e senza offenderlo, ma inducendolo a tenere quel gingillo adatto anche agli individui normali, per sentire a distanza. Tutto ciò veniva detto con grande candore. I poliziotti erano furibondi: cominciarono a inveire intimando la consegna immediata della radio, minacciando e tempestando. Martignago fingeva di non capire, cadeva dalle nuvole, giocava d’astuzia: lo rilasciarono solo dopo altri cinque interrogatori e lunghe e vane perquisizioni alla sua stanzetta, a quella di Cevoli, ad altre limitrofe. Forse si erano convinti che non era quell’untorello inebetito che poteva spiantar Milano.

Ma la cuffia era perduta e con essa pile, manolux e filo, e fu necessario ricominciare da capo. Il che fu fatto, ma con nuove e gravi difficoltà, durante le quali il maresciallo tedesco, che noi chiamavamo Margarina, per la sua mole lustra e butirrosa, e che si era specializzato nel distribuire pugni e calci ai nostri soldati, fu varie volte derubato delle pile della sua lampada tascabile e una eguale sorte toccò al sergente della Wehrmacht che era addetto all’ufficio postale.

Mentre si svolgevano questi fatti, il Campo riceveva ancora notizie da altre due radio, dalla piccola Philips e da Teresina. Ma dopo il 28 settembre, la piccola Philips di Gigi Lombardo fu scoperta per un tradimento: Teresina rimase sola e divenne molto guardinga, perchè se la spia era stata bastonata assai duramente pure era ancora viva e poteva tornare a tradire.

Fu allora che i centri di resistenza del Campo sentirono la necessità di intensificare l’opera di propaganda. Si chiedeva un’azione intensa e continua, anche perchè dopo lo sbarco, che aveva fatto tanto sperare in una rapidissima fine della guerra, l’esercito liberatore sembrava fermo e si profilava all’orizzonte un altro durissimo inverno di prigionia senza riscaldamento e con sempre minore alimentazione. E la tubercolosi continuava a spigolare instancabile. Molti erano avviliti, e di nuovo i tedeschi premevano per il lavoro: già si avvertiva nel Campo una minaccia di sbandamento e, qua e là nelle baracche, qualche ufficiale cedeva.

Allora nacque, per sollevare gli animi e temprarli nella resistenza, quel grazioso e perfetto gingillo che fu battezzato “Caterina” e che stava comodamente dentro una gavetta.

 

Si ringrazia l’Associazione Nazionale ex Internati (ANEI) per avere autorizzato la pubblicazione. Ci limiteremo a riprodurre esclusivamente il materiale relativo ai ricevitori radio, invitando alla lettura delle pubblicazioni complete per approfondimenti.

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Pubblicato il 06/11/2006 – Ultimo aggiornamento: 06/11/2006