Il Radiocorriere

Radiocorriere 31 marzo-6 aprile 1946Il settimanale Radiocorriere (oggi Radiocorriere TV) pubblicò un articolo dal titolo OMAGGIO A “CATERINA” nel numero 13 (31 marzo-6 aprile) 1946.

Pubblichiamo parte della trascrizione avvisando che occorrerà parecchio tempo per terminarla a causa delle cattive condizioni di lettura della copia in nostro possesso (si tratta di una scansione di una fotocopia). Per chi fosse in possesso di una copia leggibile (o abbia la possibilità di consultare una emeroteca attrezzata), preghiamo di verificare il contenuto e segnalarci eventuali errori, riferendoci se possibile anche il nome dell’autore. Se possibile, saranno gradite anche le scansioni delle fotografie (una delle quali è l’unica riferita a Mimma di cui siamo al momento a conoscenza). Grazie.

OMAGGIO A “CATERINA”

Radiocorriere n. 13 , 31 marzo – 6 aprile 1946.

CATERINA è un miracolo, e i miracoli non si dovrebbe neppure raccontarli. Si possono tutt’al più illustrare.

Un giorno, un triste giorno, interminabili teorie si carri bestiame portarono verso il nord decine di migliaia di uomini. Vecchia storia ormai, sulla quale si torna in genere poco volentieri e ancor meno volentieri ne parlano gli uomini che in quei carri erano rinchiusi.

Circondati da molteplici ordini di filo spinato, da odio, da fossati, da disprezzo, trascorsi i primi tempi di incertezza, persi i tentennanti, iniziarono una loro vita i cui elementi principali erano l’attesa e la speranza.

Il bisogno di sapere era così imperioso che pareva che questi uomini interrogassero l’etere.

Poichè la rassegnazione e l’adattamento non sono nomi che trovino immediato e facile ricetto nell’animo dell’Italiano, prima di adattarsi all’ingrato ambiente, questi uomini cercarono in ogni modo possibile di far sì che l’ambiente si adattasse a loro. Nacquero da questi tentativi dei prodigi di pazienza e di genialità, che contribuirono a rendere la vita meno grama e a neutralizzare le costanti cure che il nemico poneva nel tentar di fiaccare lo spirito di silenziosa ribellione e di tenace speranza dei rinchiusi.

***

“Caterina” è il più tipico esempio di questi prodigi. Si tratta di un apparecchio ricevente a reazione a una valvola a onde medie. Apparecchio che è stato ideato, costruito e usato nel campo di concentramento di ufficiali italiani di Sandbostel (X B) nella Germania nord-occidentale nel secondo semestre del 1944.

Per capire “Caterina” bisogna aver visto un compagno, munito di lima da unghie, temperino e pazienza, costruire con un ago il perno del bilanciere di un cronografo.

 

Come è nata “Caterina”.

Tutto nacque da una valvola e la valvola entrò nel Lager nascosta in una borraccia piena d’acqua. Né sarebbe stato altrimenti possibile perchè le perquisizioni in occasione dei trasferimenti erano volte a scoprire armi, ma più ancora radio o parti di esse, tanto più che della esistenza di queste i tedeschi erano al corrente.

La valvola fu quindi introdotta in una borraccia il cui panno fu scucito e il cui fondo aperto col temperino e poi “saldato” con cerotto adesivo.

Che da una valvola possa nascere un apparecchio è cosa he solo ieri ho saputo. Ma è meglio andare per ordine e descrivere l’apparecchio così come me lo consente la fotografia che non ho voluto costellare di frecce, numerini e didascalie.

Clicca sull’immagine per ingrandire

Radio Caterina sul Radiocorriere, 1946

La valvola troneggia: è una “1Q5” ad accensione a corrente continua ed assorbe due volta circa. Il mobile o il telaio è costruito da quattro pezzi di compensato, ricordo di un pacco tanto atteso; sul fondo si staglia il prodigio di un condensatore variabile di sintonia che termina in una manopola isolata alla meglio, il tutto costruito in autentica latta ritagliata da scatolette di carne (altro ricordo nostalgico). A sinistra quel barattolo oscuro è un portasapone da barba assurto, mercè l’avvolgimento di numerose spire di filo isolato, a dignità di bobina. Nell’interno del barattolo un altro avvolgimento dello stesso filo su un tubetto di cartone funge da variometro di reazione.

Manca in figura la pila d’accensione che fu a volta a volta costituita dai più svariati aggeggi. Ci si servù quasi sempre di un vasetto di estratto di carne in cui si mettevano a bagno in diverse soluzioni un pezzetto di zinco tolto alle vasche dei lavatoi e un pezzo di carbone tolto dai rifiuti delle cucine poichè il carbone non aveva accesso libero al campo di Sandbostel. La batteria anodica è invece in primo piano ed è costituita da un astuccio da lampadina tascabile che conteneva una serie di monete di rame da dieci centesimi (oggi coperte di ossido) alternate con dischi di panno (ritagli di coperta).

L’ammoiaca necessaria per produrre, in unione al sale da cucina, il cloruro d’ammonio si otteneva per distillazione. Il metodo era quello primitivo dei sacerdoti del dio Ammone; è vero che al X B non c’erano i cammelli egizi, ma c’erano tanti uomini e il risultato era uguale. La batteria così inumidita dava per circa 45 minuti molto cattivo odore e un pochino della tensione di placca occorrente, frattanto c’era chi preparava una nuova batteria lavando panno, monete, astuccio e rinnovado il liquido. L’elemento acustico era rappresentato da un unico auricolare costruito con una scatoletta di Nescafé (che i prigionieri autentici, quelli che godevano dell’assistenza della Croce Rossa Internazionale, ricevevano), contenente un vero magnete e relativo avvolgimento.

Non è tutto perchè la parte tecnicamente più ardua è rappresentata proprio da ciò che in fotografia appare meno: le resistenze e capacità ricavate dai materiali più vari. Queste resistenze erano costruite annerendo di grafite di matite la carta dei cubi di Tafelmargarine e venivano tarate inserendole in serie su una lampadina. Anche le cartine per sigarette e la stagnola del rarissimo Tilsiter schmelz Käse (formaggio fuso piacevole ma scarso) ebbero una parte importante in queste costruzioni, ma soprattutto quel che sarebbe troppo lungo raccontare è la pazienza e l’abilità che occorsero per produrre resistenze di determinati valori senza avere né strumenti di misura, né termini di raffronto, né possibilità di prove. Basti dire che il costruttore si regolava contando i tratti di matita che tracciava su un certo pezzo di carta per rendersi conto della differenza che intercorreva tra l’uno e l’altro tentativo.

Particolar prove occorsero per la costruzione della famosa resistenza di griglia. Le prove raggiunsero il migliaio.

Questo in linee essenziali l’apparecchio, le cui dimensioni si immaginano raffrontandolo con l’accendisigari e il piastrino da prigioniero che gli sono stati posti accanto.

 

“Caterina” al lavoro.

“Caterina” non aveva mai lungo il giorno una dimora stabile ma nelle ore notturne funzionava per lo più nella baracca del comando italiano. Quel comando, si sa, non comandava nulla, ma si chiamava così. Esisteva in quella baracca una specie di ripostiglio e qui Olivero, laureando ingegnere fuori corso da un numero imprecisato di anni per motivi militari, nel silenzio della notte faceva acrobazie auditive per estrarre dall’auricolare frammenti di notizie in varie lingue.

Si appollaiava su un castello-lettiera, stringeva fra i denti il capo di un filo aiutando personalmente lo stesso a fungere da antenna, variava la propria capacità avvicinando o allontanando un piede penzolante dal castello verso il pavimento che per essere umido e poggiante sul terreno era una ottima presa di terra; con la sinistra variava la sintonia e con la destra scriveva.

Teneva l’auricolare aderente all’orecchio con un asciugatoio che gli fasciava il capo a mo’ di turbante.

Se non fosse stata una csa seria il tutto avrebbe avuto qualcosa di molto comico. Captare la voce di Londra variando la sintonia con una mano (spostamenti micrometrici di reazione col piede) e scrivendo con l’altra non era cosa da poco; ma Olivero, calmo, biondo, sottile e sereno non si scomponeva. Sentiva, immaginava, creava; univa un brano di tedesco con uno di francese e un altro po’ di italiano e scriveva.

O signori della BBC! Lui slo sa quanto bene facevate a trasmettere a tutte le ore e a ripetere cento volte nella giornata le stesse notizie!

Martignago si impossessava delle notizie. È stato lui a presentarmi a “Caterina” in questi giorni. Non lo avevo visto a Sandbostel che un paio di volte si sfuggita, ma ci siamo riconosciuti subito, anche se io ora ho una barba bionda in meno e lui ha una certa quale rotondità di più.

 

Le notizie fanno il giro del campo.

Martignago dunque ingegnere idraulico, organo di diffusione, amministrava le notizie e ciò ebbe un rapido sviluppo quando, per la quarantena del tifo petecchiale, i nostri ospiti ci lasciarono per più di un mese in pace nella speranza che questa per noi si trasformasse in “Pax”.

Sfruttando l’arrivo recente di un nuovo gruppo di compagni dal campo di Oberlangen, Martignago affidò a due di loro, Capalozza e Pisani, la diffusione delle notizie e questi trovarono che, vista la somma cura posta dai tedeschi nel non farsi vedere al campo, era opportuno distribuire dei regolari comunicati scritti. Nel campo si credette così che “Caterina” fosse in mano a quelli di Oberlangen. Bisognava pure sviare le tracce e difendersi dagli immancabili imprudenti.

Le cose erano condotte con tale cura da riuscire quasi sempre a controllare le notizie che, dopo un lungo giro di bocca in bocca, tornavano alle orecchie del gruppo radio e qualche volta per bocca di chi giurava di averle udite personalmente dalla misteriosa “Caterina”. Martignago poi, in sede di organizzazione s’era ingegnato a trovare magneti e una buona quantità di filo isolato indispensabile per la cuffia e le bobine. Ciò aveva fatto asportando e poi laparatomizzando la dinamo della bicicletta del sottufficiale dell’ufficio postale e rimontandogliela a operazione finita sul ciclo.

Fu dopo colpi di questo genere che i tedeschi cominciarono a sospettare che nel campo ci fosse qualcuno che se ne intendeva di elettricità… Perciò con encomiabile regolarità si diedero a togliere la corrente alle baracche ogni sera all’imbrunire.

Angiolillo fu toccato personalmente da questa sfiducia dei tedeschi e decise perciò di passare 25 notti nel lavatoio tentando di costruire con incredibili sistemi un raddrizzatore elettrolitico e… una batteria di accumulatori. Il risultato non fu brillante, ma del resto s’era già coperto di gloria riuscendo a produrre la famosa resistenza di griglia di cui si è detto sopra il che, sia detto a suo onore, non fu cosa da poco.

Ma l’organizzazione non si fermava qui. Disponeva persino di un tecnico che non agiva se non in caso di necessità, Tarini, e di un complesso costituito da un uomo e da una valvola bruciata. Cioè Talotti e la “trappola”. La trappola era una “Caterina” inservibile e Talotti uno che di radio non ne capiva niente. Si poteva perdere l’uno e l’altra senza danno del servizio informazioni, ed erano l’uno e l’altra disposti al sacrificio per la continuità del servizio. Inezie…

Vi erano poi alcuni fidati e volenterosi che costituivano una rete di sicurezza stesa dai pressi dell’ingresso fino al piede di Olivero penzolante dal castello-letto. La prima maglia di questa catena era costituita da un uomo che affacciato alla finestra di una baracca di uso comune e nella quale l’esser trovati a qualunque ora non era reato (le latrine, ndr), non perdeva d’occhio un istante l’ingresso del campo e con un numero convenzionale di scintille tratte da un accendisigari faceva segnalazioni ad un altro compagno posto nei pressi della baracca e così fino alla parete dello stanzino di Olivero su cui venivano battuti tanti colpi quante scintille.

 

Un brutto momento.

Gli accordi erano chiari: due scintille “attenzione”, cinque scintille “allarme grave”.

Di solito cinque scintille erano riservate a Tutscek, Interprete della Gestapo, convinto assertore dell’esistenza di “Caterina”.

Ma le cinque scintille non vennero mai e Tutscek sì. Arrivò però non con l’intenzione di trovare “Caterina”. Non ci pensava in quel momento e non capì. Guardò Olivero e il suo turbante. Questi immobilizzato non ricorda se più dalla paura o dalla presenza di spirito, non mosse dito e continuò a ricevere.

Tutscek, subito distratto dai compagni, si limitò a lanciargli un “Krank?”. Risposero per lui i compagni: “Sì, mal di denti”. E passò liscia.

Nessuna cautela per quanto eccessiva pareva sufficiente. Il periodo di calma della quarantena fu troppo breve. I sospetti sull’esistenza della radio si acuirono e si dovettero prendere misure di estrema prudenza. Allora non conoscevo Martignago e compagni, facevo capo a Poli.

 

Caccia alle novità del mattino.

Ogni mattina partivo, dopo l’appello, dalla mia 73 per andare alla 65 dove stava lui. Mi riceveva a sedere sul suo letto (chiamiamolo così) ed insieme, racimolato qualche po’ di tabacco, ci si costruiva una sigaretta. Non c’era da aspettare molto in genere, ma l’attesa pareva sempre lunga e qualche volta era inutile. A un certo momento si bussava leggermente alla parete di legno. Accadeva allora qualcosa di veramente insolito. Il capitano Pucci che viveva nello stesso “castello” al piano superiore, poggiato un piede in testa, senza preferenze, a lui o a me, toccava terra. Poichè le se discese erano rare non era facile trovare i suoi zoccoli. Lo aiutavamo perchè potesse uscire in fretta.

Ritornava e si riappollaiava al di sopra di noi e quando era ben sicuro che nessun estraneo men che fidato ci fosse nella stanzetta, cominciava la lettura dei suoi appunti. A mia volta ascoltavo, annotavo e ripartivo. Nella mia camerata qualcuno aspettava da me quel che io avevo atteso da Pucci. E così la catena si snodava.

Nè io conoscevo la fonte di Pucci nè i miei compagni la mia. Nell’andare e nel tornare facevo un lungo giro per non destare sospetti, mantenere il segreto circa la mia fonte e fare perdere le tracce. Solo ora so che con questo stratagemma riuscivo sempre ad arrivare alla ma baracca provenendo proprio da quella dove viveva “Caterina”. Il colmo della prudenza.

La storia è tutta qui. Resta solo da spiegare perchè si sia fatto fotografare insieme a “Caterina” quel rettangolino di metallo. Nelle fotografie ufficiali c’è sempre qualcuno che riesce a ficcarsi in mezzo.

 

Il piastrino intero.

Quel rettangolino di metallo ormai non è più che un simbolo o un talismano. Il titolare della “Caterina” l’ha voluto mettere lì perchè dice che l’averlo portato a casa intero porta fortuna. Infatti quella linea che si nota è una frattura prestabilita. In caso di decesso il piastrino di riconoscimento veniva spezzato. Metà agli atti e metà in bocca al cadavere. Organizzazione, anzi tutto. Se “Caterina” veniva trovata poteva anche accadere che un piastrino fosse spezzato. Ecco perchè si è consentito al piastrino di far mostra di sè e della sua integrità.

A fine gennaio del ’44 il X B fu sciolto e divenne come tanti altri un campo di sterminio. Parte di noi furono inviati a Wietzendorf e parte a Fallingbostel – fra questi ultimo “Caterina” e i suoi creatori.

Clicca sull’immagine per ingrandire

Radio Mimma sul Radiocorriere, 1946

Fallingbostel vide la nascita di una specie di “Caterina II”. Altre acrobazie e prodezze ma di più breve durata. Le valvole erano due (vedi foto sopra), la cuffia una vera cuffia, la batteria d’accensione un vero accumulatore, ma il tutto molto meno romantico. La vera “Caterina”, la rande Caterina fu una sola! Se mi si consente il bisticcio.

 

Omaggio a “Caterina”.

Ecco, “Caterina”, uno dei tuoi ascoltatori ha voluto farti un omaggio, così come ha potuto; uno uno dei tuoi che da te fu sorretto e incoraggiato, che per mesi, ogni mattina, bevve le notizie qualche volta, un po’ tinte di rosa che tu gli davi. Uno che oggi vive tra valvole e circuiti e programmi senza capirne troppo dei tuoi prodigi tecnici.

È poca cosa in confronto a quello che meriteresti; tu hai dato ogni giorno a migliaia di uomini la forza di resistere, la speranza che ogni mese fosse l’ultimo, forse perchè sapevi che senza questa speranza la resistenza era quasi impossibile. È poca cosa, ma il mostrare ai ??? (illeggibile, ndr) in confronto a le tue miracolose viscere elettriche, la tua miseria sudicia, la pazienza che ti ha creata, il coraggio e la prudenza che ti han mantenuto in vita, significa far sì che si deponga accanto alla tua valvola solitaria, alla tua batteria ??? (illeggibile, ndr) il dono della riconoscenza di tutti quelli che anche per merito tuo han resistito e anche per merito tuo ebbero l’onore di essere chiamati dal ??? “??? traditori” (l’ultima parte è praticamente illeggibile, ndr).

Firma illeggibile

 

Note:

Per la margarina: http://de.wikipedia.org/wiki/Margarine

Per il formaggio Tilsiter (quasi illeggibile): http://de.wikipedia.org/wiki/Tilsiter

L’Autore dell’articolo non è chiaro. La firma consiste in un riferimento numerico poco leggibile) al quale dovrebbe corrispondere un autore, probabilmente nella prima pagina della rivista. A fianco, a mano, è stato messo il nome di Oliviero Olivero, che non potrebbe essere l’autore in quanto nel testo viene presentato in terza persona, si fa riferimento a Martignago come di colui che ha presentato l’autore a Caterina “in questi giorni”. Sicuramente si tratta di un Internato, ma confessa di non sapere che la “Caterina” era nella sua stessa baracca. Per ultimo, afferma “Che da una valvola possa nascere un apparecchio è cosa he solo ieri ho saputo…”.

Pubblicato il 04/02/2007 – Ultimo aggiornamento: 04/02/2007